Zafferano di Pozzolengo

Nel cuore delle colline moreniche vicino a Pozzolengo, una coltivazione unica e il racconto esclusivo di una passione e un rispetto profondi per la natura.

“Signora perdoni il ritardo, ma ero nel campo a fare il censimento delle piantine e non potevo proprio in- terrompere” … Mauro Grazioli si scusa, rammaricato, la voce pacata, gli occhi verdi che sorridono, la mano tesa a salutarmi in una stretta franca e cortese. “Piantine”, “fiorellini”, “animaletti”: per almeno tre volte, nel corso dell’intervista, gli usciranno, probabilmente senza che lui nemmeno ci faccia caso, vezzeggiativi e diminutivi garbati, premurosi, che tradiscono fin troppo chiaramente, da subito, la passione genuina e la gentilezza innata di questo tecnico specializzato prestato a una coltivazione che era, ed è ancora, più di una scommessa. E’ un esperto professionista nell’automazione industriale Mauro, contadino nei momenti rubati alla famiglia e alle sue trasferte lavorative, gli stessi di sua sorella Valeria, splendida, giovane donna dai colori preraffaelliti che sottrae alla sua professione di archeologa ore di impegno profuse nella cura di un’assoluta eccellenza italiana. Un secondo lavoro, verrebbe da dire, non fosse che di lavoro, fatto soprattutto di concreta, spesso pesante fatica nei campi, ve n’è tantissimo, ma di guadagni certamente non ancora abbastanza per farlo diventare l’attività dominante della quotidianità: basta, per adesso, l’appagamento di mente e anima, la motivazione e la soddisfazione di vedere nascere, accudito e curato, un prodotto unico in un rapporto d’amore con la natura che sul lago di Garda non ha eguali.

Raggiungo l’azienda agricola “Al Muràs” in una mattina di inizio primavera, con l’aria resa tersa e frizzante dalle piogge recenti, un campanile che rintocca, placido, le ore nella campagna tra Pozzolengo e Cavriana, nel cuore delle colline moreniche a una manciata di chilometri dalla costa meridionale del lago di Garda, e un gattone pigramente steso al sole su un davanzale che socchiude gli occhi gialli ronron nando compiaciuto quando gli gratto leggermente la testa. Nella quiete di un sabato in campagna, Mauro racconta di come lui e la sorella proprio non si risolvevano a vendere i 12mila metri quadri di terreno da sempre nella loro famiglia e che no, proprio non era contemplata semplicemente una cessione, chissà a quale prezzo poi, senza almeno aver tentato di fare qualcosa che impreziosisce questo lascito agricolo, che rispettasse le leggi della natura, che marciasse di pari passo con le possibilità offerte dal territorio e che rendesse onore a una passione autentica e profonda per le cose sane e fatte con amore, per luoghi da curare, valorizzare, proteggere. E’ quasi scontato chiedere a Mauro perché, nella terra dei vigneti e degli uliveti, degli alberi da frutto e, poco più a sud, verso la campagna mantovana, dei campi di granoturco e maggese, due fratelli decidono di votarsi a una cultura così poco tipica di queste contrade, dove lo zafferano è tradizionalmente quello in bustine di color giallo carico e tre vivandieri in uniforme bianca da prelevare alle casse del supermercato. Non c’è una vera ragione, spiega Mauro, ma solo grande curiosità e voglia di fare qualcosa di diverso e di farlo, ci tiene a ribadire, in armonia con le leggi della natura, utilizzando ed esaltando al meglio le naturali risorse di un territorio unico nella sua speciale combinazione pedoclimatica.

Una passione per la natura profonda, dunque, accompagnata da grande curiosità intellettuale, che spinge dapprima Mauro a San Gimignano e poi a Navelli, vicino L’Aquila, regno italiano della spezia con Sardegna e Toscana, dove, attorno alla metà del XIII° secolo, l’inquisitore dominicano padre Santucci, secondo alcuni Colucci, riuscì a portare alcuni bulbi della preziosa pianta trafugati dalla Spagna e a far iniziare la coltivazione che ancora oggi costituisce il segno territoriale distintivo di quel tratto dell’altopiano abruzzese. Qui, nel 2001, Mauro acquista i primi 40 bulbi di Crocus Sativus, il fiore dello zafferano, e li porta a Pozzolengo, dove cerca di capire come adattarli al suo terreno in armonia con un disciplinare severo e rigoroso, ma totalmente estraneo alle abitudini agricole lombarde, al punto che deve essere completamente riscritto per conformare la coltivazione di un prodotto così poco tipico ai terreni della nuova regione. Ammirata, penso alla fatica burocratica che deve avere accompagnato questa avventura e mi permetto di dirgli che più che uno sperimentatore curioso è stato un pioniere, certamente non deve essere stata impresa facile far comprendere, assorbire, accettare e adattarsi alla nuova realtà un intero disciplinare che regolamenti la coltivazione di questa “esotica” piantina a nord del Po. Mauro sorride, convenendo timidamente che la cosa è stata ancor più delicata, lunga a tratti spinosa perché, da subito, lui e Valeria si impuntano fortemente affinché il disciplinare abbia una variante biologica approvata e certificata che contempli necessariamente la loro scelta, una scelta di totale rispetto per la natura: a casa loro, nulla di chimico, artefatto, nessuna forzatura sintetica o innaturale per i piccoli bulbi che vengono messi a dimora vicino a piante di kiwi e ulivi cultivar Casaliva, i fratelli Grazioli sognano, vogliono, pretendono un’avventura totalmente eco-compatibile e di assoluta purezza. Uno sforzo che sembra, da subito, essere ricompensato da una natura generosa e riconoscente: i primi 40 bulbi germogliano immediatamente geminiano fecondi sotto l’occhio vigile di Mauro, che attende paziente di veder sbocciare, in armonia con le stagioni, i fiori di color viola chiaro, con i sei petali raccolti attorno a tre stimmi di un rosso cremisi intenso e agli stami ricolmi di polline dorato. Le analisi dei primi raccolti sono, poi, un'emozione inaspettata: ben oltre i requisiti del disciplinare, i valori dello zafferano di Pozzolengo fanno subito comprendere l’eccezionalità del prodotto e premiano il fatto che Mauro e Valeria selezionino esclusivamente, con un processo fatto di cura, pazienza e delicatezza, solo i pregiatissimi tre stimmi purpurei per la preparazione della spezia, trascurando – sebbene ammessi dal disciplinare – gli stami con il polline e parte dei filamenti, facendo così pienamente meritare al loro zafferano la qualifica di “purissimo”. In particolare, gli esami confermano valori di picrocrocina, glicoside che dona alla spezia il suo caratteristico gusto amaricante, e di crocina, il carotenoide che conferisce allo zafferano l’inconfondibile colore amaranto, ampiamente al di sopra dei valori necessari per meritare, secondo le normative del disciplinare, il riconoscimento della prima qualità.

La cura e la premura cominciano in inverno, quando i bulbi, che dimorano in aiuole ben ordinate in campo aperto, vicino ai filari delle viti e sorvegliati dalle galline che razzolano libere, vegetano bevendo la neve e la pioggia, liberi di godere le giornate fredde, ma luminose, dell’immediato entroterra lacustre e si nutrono dell’impareggiabile combinazione di circostanze climatiche e mix di nutrimento che questa terra offre loro. Ineguagliabile perché, racconta Mauro, il primo contributore degli eccezionali valori delle proprietà organolettiche dello zafferano purissimo di Pozzolengo è il ghiacciaio da cui ha originato il lago di Garda, il cui scioglimento causò lo scivolamento a valle di una vera e propria montagna di detriti che, sparpagliatasi in basse, morbide colline al termine della corsa, formò l’anfiteatro morenico del Garda. Una terra, dunque, ricchissima di minerali, friabile, accarezzata da inverni solitamente miti, da estati temperate, da sorgenti abbondanti che irrorano il terreno, ma non lo bagnano eccessivamente grazie alla pendenza delle colline che fa scorrere l’acqua in eccesso, da un gioco irripetibile di venti asciutti che soffiano dal lago e da un clima ed ecosistema che è, nel raggio di poche decine di chilometri, un equilibrio unico e perfetto di macchia mediterranea, ambiente prealpino, campagna padana. Piove relativamente poco d’estate a Pozzolengo, quando i bulbi, ancora a dimora nel terreno generoso dove hanno terminato la fase vegetativa invernale, devono bagnarsi il meno possibile: ogni goccia d’acqua prima della fioritura è benedetta, ma il terreno non deve comunque inzupparsi prima che sboccino i fiori. I bulbi amano il caldo, l’asciutto, il sole dell’estate gardesana che li culla, neonati dal canto di grilli e cicale, fino a metà Ottobre, quando finalmente i fiori dal delicato color viola sbocciano e vengono subito raccolti, rigorosamente a mano, con un gesto gentile ed esperto che quasi sfila il fiore dalla pianta, operando solo una piccola, delicata precisione, e posati in canestri, adagiati delicatamente sul vimini e subito portati in laboratorio. I fiori sbocciano ogni giorno e devono subito essere raccolti, tutti, in quella stessa giornata, prima che il sole possa intaccare il prezioso zafferano al loro interno: se i bulbi del Crocus Sativus amano il caldo, gli stimmi, esposti nelle corolle appena sbocciate, perderebbero parte del loro potere colorante e appassirebbero il giorno successivo, quindi i fiori devono essere raccolti tutti, tutte le mattine, velocemente.

Ci vogliono circa 100- 200mila fiori per realizzare un chilogrammo di prodotto finito, spalanco gli occhi di stupore quando Mauro risponde alla mia pratica curiosità, posso solo cercare di immaginare cosa sia il lavoro intenso, concentrato grossomodo in un solo mese, fino a metà Novembre, a seconda della generosità dell’autunno, con Mauro, Valeria, le loro intere famiglie e il contributo gratuito e preziosissimo di amici e vicini di casa piegati fra le aiuole a raccogliere rapidamente, all'alba, nelle prime brume ottobrine, le corolle colorate ancora umide di rugiada. Dai fiori vengono estratti, con pazienza infinita e grandissima cura, solo gli stimmi carichi di preziosa polvere rossa: le corolle e gli stami con il polline vengono gettati in un angolo preciso della proprietà, a puro nutrimento delle api e degli altri insettini della campagna, ma senza che il polline dorato serva per la riproduzione del fiore; il Crocus Sativus, infatti, è pianta sterile che si riproduce solo agamicamente, generando bulbi cloni dell’individuo madre che si duplicano di anno in anno e non funziona con loro, dunque, l’opera prodigiosa dell'impollinazione compiuta dagli insetti. Il resto della raccolta dei fiori raggiunge, allora, una montagnola di erba di sfalcio, tralci di piante di kiwi, rami di ulivo, sotto la quale c’è una lettiera che ospita una colonia di lombrichi, di cui Mauro parla con simpatia quasi come si rivolgesse a pestiferi, ma divertenti cugini: solo l’humus prodotto dai preziosi anellidi è il nutrimento accettato e accolto dal severo disciplinare per la coltivazione biologica cui l’azienda si attiene scrupolosamente, la loro opera e presenza visibilissime, a ogni passo, nei ghirigori e nelle palline di terra sulle aiuole, segni di una silenziosa, incessante, gratuita e impagabile opera agricola che arieggia il terreno, lo rende più resistente all’acqua, lo arricchisce di azoto e carbonio, lo nutre e rende friabile. Il peggior nemico degli stimmi è l’umidità, solo un caldo controllato secco e asciutto può preservare intatta la loro purezza – per non dire del colore e dell’odore che sa di erba, di estate, di caldo, di legno, di bacche e di incenso, che inebria e quasi stordisce – ed è dunque necessario, come ultima fase della lavorazione, procedere a essiccare gli stimmi ricoperti di oro rosso; nessun forno elettrico, nessun essiccatoio, come quello che Mauro e Valeria pur possiedono per essiccare i petali del fiore, utilizzati in gastronomia come guarnizione perché perfettamente edibili, ma solo il caldo secco e sano di tizzoni di legna nobile, ricavata dalla potatura controllata degli alberi della proprietà, che alimenta braci lungamente curate al cui calore vengono fatti asciugare gli stimmi e che costituiscono il segreto finale dell’assoluta qualità della spezia gardesana, come uno studio condotto dell’Università degli Studi di Milano ha recentemente dimostrato. L’essiccatoio è controllabile, le braci no, la tostatura è sempre la fase più delicata del processo, che impegna tutta l’esperienza di Mauro e Valeria per rendere i preziosi filamenti cremisi asciutti, ma non troppo sbriciolati, con un’umidità residua ben al di sotto di quella ammessa dal disciplinare che permetta di conservarli al meglio e di preservare la qualità, carichi di tutto il prezioso aroma che barattoli a chiusura ermetica conservano e mantengono subito dopo il raffreddamento.

L’azienda agricola “Al Muràs” produce circa 2.5-3 chilogrammi di purissimo zafferano l'anno, che diventano quattro se si considera l’intero apporto della zona: altri due produttori, infatti, sull’esempio di Mauro e Valeria, contribuiscono a impreziosire i campi attorno a Pozzolengo con questa nuova “tipicità” del lago di Garda che, in realtà, scopriamo poi essere nuova solo nell’approccio biologico e nella visione di espansione di Mauro: come evidenzia l’agronomo bresciano cinquecentesco Agostino Gallo nella sua opera “Le vinti giornate dell’agricoltura et de’ piaceri della villa” del 1572, citazione ritrovata grazie all’opera appassionata della Dr. ssa Sonia Tonoli, ricercatrice e guida turistica pozzolenghese, lo zafferano era già coltivato nei “giardini dei semplici” dei monasteri che, intorno al 1500, fiorivano proprio lungo la costa e nell'immediato entroterra gardesano. Una tradizione che potrebbe presto essere continuata da un consorzio in cui raccogliere vari produttori locali unici dal rigore nella coltivazione e dalla volontà di difesa di una qualità eccelsa della spezia, a cui i fratelli Grazioli e i colleghi stanno lavorando con impegno e con la collaborazione delle istituzioni locali. Mauro non lo dice per pudore e per il garbo innato che lo contraddistingue, ma si intuisce come il vero elemento aggregante tra i futuri soci, che lui promuoverà strenuamente affinché non venga mai meno, potrà essere solo uno: la passione autentica e profonda per la natura, il rispetto dei suoi tempi e delle sue stagioni, un atteggiamento di attesa e fiducia verso di essa, che ricompenserà questo amore con un prodotto unico che renda il lago di Garda e il suo territorio ancora più preziosi.

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